FOTOGRAFIA NATURALE E POSTPRODUZIONE

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POSTPRODUZIONE: LA CONOSCIAMO VERAMENTE?
La post-produzione riveste un ruolo fondamentale, ed imprescindibile, nel processo creativo fotografico: permette al fotografo di modellare con professionalità le immagini secondo la propria visione artistica per ottenere risultati accattivanti e comunicare emozioni.

La postproduzione non è un’attività separata dal processo di realizzazione dello scatto fotografico, ma è complementare ad essa: richiede competenze specifiche nell’utilizzo di software come Photoshop e Lightroom.

IL MITO DELLA FOTOGRAFIA AL NATURALE.
Una certa corrente di pensiero prende le distanze dal processo di post-produzione delle immagini digitali, fedele al dogma secondo il quale la fotografia analogica non richiedeva l’intervento del fotografo oltre all’atto di inquadrare la scena attraverso il mirino, curarne la composizione, studiarne la luce e infine premere il pulsante per lo scatto.

Vorrei sfatare questo mito riguardante la fotografia “naturale”.

Anche nel passato più remoto, in un’epoca non ancora “digitale”, il fotografo impiegava tecniche per ottenere il risultato desiderato e per esprimere uno stile artistico unico.

L’alternativa?  Delegare l’applicazione di queste tecniche a collaboratori terzi specializzati o ai photo editor delle riviste o delle agenzie fotografiche di turno. 

UNA SCELTA CONSAPEVOLE PER OTTENERE IL RISULTATO DESIDERATO.
I boomer come me ricorderanno sicuramente le diverse marche di pellicola presenti sul mercato prima dell’avvento dell’era digitale: Kodak, Kodachrome o Ektachrome, Agfa, Fuji, Fujichrome Velvia o Provia, Ilford ecc.

La differenza non risiedeva nella sensibilità ISO ma nelle diverse caratteristiche cromatiche che le distingueva l’una dall’altra e ciò rendeva necessario, per il fotografo, operare delle scelte “consapevoli” già prima dello scatto fotografico, in funzione del risultato che si prefiggeva di ottenere.

E per analogia, lo stesso discorso valeva, e vale tuttora, anche per le carte fotografiche utilizzate nella stampa finale delle immagini.

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E ANCORA…
Nel corso della mia pluridecennale esperienza come fotografo d’interni e di architettura mi sono trovato in presenza di diverse tipologie di fonti luminose: luci fluorescenti, lampade a incandescenza, alogene, alogenuri di argento, ioduri metallici e LED ecc. e, per complicare ulteriormente le cose, spesso presenti contemporaneamente.

Questa varietà di fonti luminose influenzava significativamente le risposte cromatiche delle pellicole utilizzate. Le luci fluorescenti, ad esempio, generavano inevitabili dominanti cromatiche che variavano dal blu al verde-giallo, a seconda della pellicola utilizzata e della sua taratura per una specifica temperatura di colore espressa in gradi Kelvin: se la pellicola era tarata per la luce artificiale a 3200° Kelvin si otteneva una dominante blu, mentre risultava verde-gialla se era tarata per la luce diurna di 5500° Kelvin.

Per ottenere un “discreto” bilanciamento del bianco, in questo caso specifico si applicavano filtri colorati di vetro, gelatina o di un materiale plastico speciale.

Ad esempio, per la pellicola (diapostiva) tarata per la luce diurna si utilizzava un filtro di densità 30M (magenta) abbinato a un filtro 10R (rosso), o ancora, un filtro FL-D.

È importante sottolineare che questa combinazione di filtri non era perfetta per tutte le situazioni, ma consentiva di ottenere risultati soddisfacenti.

Altri esempi comuni includono l’applicazione di un filtro giallo sull’obiettivo della fotocamera per ottenere un aumento del contrasto nelle fotografie in bianco e nero, o l’utilizzo di un filtro rosso per creare un effetto quasi di infrarosso; una tecnica spesso impiegata in cinematografia consisteva nell’applicare un filtro blu insieme a una sottoesposizione generale per ottenere un effetto simile a una scena notturna pur eseguendo lo scatto con la luce solare.

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Da non sottovalutare, inoltre, l’importanza dell’intervento dei laboratori fotografici specializzati nel trattamento delle pellicole, i quali contribuivano attivamente alla manipolazione e al controllo delle immagini al fine di ottenere il miglior risultato.

Era possibile, ad esempio, richiedere l’aumento o la riduzione dei tempi dello sviluppo chimico delle pellicole per ottenere variazioni di contrasto o correggere eventuali sottoesposizioni volute o non volute durante la ripresa fotografica.

Nella fase di stampa finale, dopo aver preso visione dei provini di stampa, spesso con la supervisione del fotografo, si apportavano le opportune correzioni dei colori in generale e del bilanciamento del bianco.

Detto questo, possiamo in tutta onestà affermare che la fotografia analogica sia realmente “naturale”?

COME FUNZIONANO LE FOTOCAMERE DIGITALI ?
La fotocamera digitale funziona in modo simile a una fotocamera analogica, ma il processo di formazione dell’immagine è interamente digitale. Il segnale luminoso viene convertito in un segnale elettrico da un dispositivo chiamato convertitore analogico-digitale. Le informazioni vengono poi elaborate da un processore interno alla fotocamera, simile a un piccolo computer. L’immagine elaborata viene infine memorizzata su una scheda di memoria. In sintesi, il processo di formazione dell’immagine coinvolge conversioni e calcoli digitali fino alla stampa su carta.

A questo punto non possiamo neanche ignorare che l’immagine visualizzata in formato JPG (Joint Photographic Experts Group) sul display delle fotocamere digitali e degli smartphone è già il risultato di un’elaborazione effettuata dal software interno alle fotocamere e che interviene sulla saturazione, sulle tonalità dei colori e sul contrasto dell’immagine (in realtà il vero formato utilizzato è chiamato JFIF (JPEG File Interchange Format), mentre “JPEG” è il termine comunemente usato per riferirsi a questa procedura).

Il risultato di tale intervento ci restituisce un’immagine piacevole secondo i canoni di bellezza comuni: prevalenza di colori caldi, saturazione elevata e contrasti apparentemente soddisfacenti per una buona visualizzazione sui monitor dei computer e sui display degli Smartphone o apparecchi simili.

Fantastico!
Peccato che il formato JPG comprima il file fino al 90% eliminando in modo permanente la maggior parte di informazioni che il sensore digitale della fotocamera aveva registrato durante la fase dello scatto. Questo rende il file inutilizzabile qualora decidessimo di apportare delle modifiche con i programmi di editing come Photoshop e Lightroom, poiché verrebbero evidenziati orribili artefatti che comprometterebbero la qualità e la fedeltà dell’immagine.

È importante considerare questa limitazione quando si lavora con file in formato JPG e valutare alternative come il formato RAW (grezzo), che conserva tutti i dati originali e permette una maggiore flessibilità nella post-produzione.

A PROPOSITO DI RAW, ECCO COME ENTRA IN GIOCO LA POST PRODUZIONE.
Scattare in RAW è il metodo migliore in assoluto e pertanto lo consiglio fortemente a tutti a meno che le foto non siano destinate solo ad un ristretto entourage (parenti e amici): in questo caso il formato jpg risulta un ottimo compromesso: molti meno megabyte da gestire nelle unità di memoria e le immagini non richiedono competenze per ulteriori lavori di post produzione a differenza del formato RAW.

Senza annoiarvi con tanti numeri e calcoli, di livelli di luminosità, di bit o codice binario o quant’altro, vengo subito al dunque dicendo che il formato RAW rispetto al JPG contiene un’ampia quantità di informazioni (grezze): più del doppio per essere precisi.

Ciò si traduce in una maggiore ricchezza di dettagli, sfumature di colore più accurate e una gamma dinamica più ampia che permette di catturare sia le ombre più profonde che le alte luci.

Le immagini in formato RAW offrono pertanto innumerevoli possibilità di editing durante la post produzione. È possibile recuperare dettagli nelle zone di ombra, ridurre la sovraesposizione delle aree troppo luminose e apportare molti altri miglioramenti.

Questo livello di controllo e flessibilità permette di ottenere risultati più accurati e personalizzati, consentendo di esprimere pienamente la propria creatività.

Pertanto, è evidente che, se si desidera esplorare l’aspetto creativo e ottenere la massima qualità dalle proprie fotografie, dedicare del tempo alla post produzione nel formato RAW è non solo obbligatorio e necessario, ma anche estremamente vantaggioso.

Sfruttare al meglio le potenzialità offerte dal formato RAW permette di ottenere immagini finali di grande impatto e qualità.

INFINE.
Alla luce di quanto esposto finora, è evidente come sia nella fotografia analogica che in quella digitale siano indispensabili delle precise scelte prima, durante e dopo lo scatto per ottenere risultati ottimali.

Il concetto di fotografia definita “naturale” non ha ragione di esistere nel senso in cui viene sostenuto da alcuni fotografi che scelgono di non intervenire sulle proprie fotografie: si tratta, piuttosto, di acquisire consapevolezza che la post produzione è parte integrante del processo creativo e permette di esprimere al meglio la propria visione artistica.

La post produzione, se eseguita con competenza e sensibilità, può valorizzare l’immagine, e trasmettere l’emozione desiderata.

È un’occasione per affinare e personalizzare ulteriormente il risultato finale, per rendere la fotografia ancora più coinvolgente, suggestiva e personale: non un tradimento nei confronti della fotografia “naturale”, ma  un’opportunità creativa che consente di esprimere al meglio le proprie intenzioni e di ottenere risultati di qualità superiore.

Alla prossima.


2 risposte a “FOTOGRAFIA NATURALE E POSTPRODUZIONE”

  1. Bello Adriano, finalmente ho capito qualcosa di postproduzione! Chiaro, sinterico, eappassionato.
    Baci

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